L´intervista: L´ex capitano della nazionale Gabriel Lima a 360°


18/02/2020 - L´ex azzurro sviaria dal tema degli oriundi, il futsal nelle scuole, il rapporto con la federazione e il nuovo CT.

Prosegue il nostro percorso nell'analisi sulla situazione del futsal italiano dopo l'eliminazione dal Mondiale 2020. Oggi pubblichiamo un'intervista esclusiva realizzata da Valerio Scalabrelli all'ex capitano della nazionale italiana, Gabriel Lima, che parla a 360° della sua esperienza in azzurro e di quelle che, a suo parere, sono le problematiche del nostro calcio a 5. Dal tema degli oriundi a quello del futsal nelle scuole. Passando dalla formazione di giocatori e tecnici. 
Parole a tratti dure quelle del giocatore che, insieme a Stefano Mammarella, più di ogni altro è stato il simbolo di un'Italia bella e vincente. Parole dure verso il sistema tutto, dalla Divisione calcio a 5 alla stampa, passando per il Commissario Tecnico Alessio Musti. Parole che vanno valutate, interpretate, ma che meritano una riflessione ancor prima di essere lette. Personalmente sono nel calcio a 5 da 23 anni. L'ho vissuto ad altissimo livello fino ai primi anni 2000 e poi a livello di campionati di A2 e B nei 15 successivi. Le polemiche sulla nazionale, sulle esclusioni, sulle modalità con cui queste avvengono ci sono sempre state. Anche in momenti più felici di quello attuale. Basti pensare ai clamorosi tagli di Rubei, Quattrini e Bearzi nell'immediata vigilia dell'Europeo vinto a Caserta nel 2003, finite nel dimenticatoio solo per la vittoria degli azzurri. E poi il caso "Corsini" alla vigilia dei Mondiali 2008. Le polemiche per il fallimento del primo Europeo targato Menichelli, quello del 2010, con l'eliminazione shock contro la Repubblica Ceca. Fino ai flop recenti ai mondiali 2016, Europei 2018 e qualificazioni Mondiali. Da sempre tutto quello che gira intorno all'Azzurro è sotto i riflettori. Nel bene e nel male. Da giornalista e da addetto ai lavori, però, ho smesso da anni di "sparare nel mucchio". Ci sono stati momenti in cui l'ho fatto, criticando fortemenente l'abuso degli oriundi (Era il 2004 con il libro "Il calcio a 5", scritto a quattro mani con Pippo Quattrini e ancora ritrovabile in qualche angolo del web). E credo che possa essere fin troppo facile farlo adesso. Contro un Commissario Tecnico e contro dei ragazzi, a cui tutto si può dire tranne che non ci abbiano provato. Oggi è molto semplice essere dalla parte di chi giudica, molto più complicato essere il CT di una nazionale reduce da un fallimento. 
Ritengo che sia invece il momento delle analisi ponderate e non faziose. Dei numeri e dei fatti. Non dei "mal di pancia" e dei facili colpevoli. Quello che leggerete nell'intervista è un punto di vista, condivisibile o meno, di un ex grande campione del calcio a 5 italiano. Quello che è accaduto in realtà tra lui, il Commissario Tecnico e la Divisione calcio a 5 lo sanno soltanto i diretti interessanti. Conosco Alessio Musti da diversi anni. L'ho portato in Toscana per un clinic quando era allenatore della Luparense. Lo conosco come persona seria e allenatore preparato. Sicuramente non autolesionista nelle scelte tecniche, sempre orientate al meglio. Spero che un giorno lui e Lima possano sedersi ad un tavolo e chiarire le proprie incomprensioni. E chissà, magari se Gabriel avesse continuato a giocare, sarebbe potuto rientrare nel gruppo verso il Mondiale.
Ma adesso tuffiamoci in questa intervista che è anche molto altro e che offre diversi spunti interessanti sulla visione del futsal italiano. 
Nicola Giannattasio – Direttore Pallaalcentro.org


Intervista di Valerio Scalabrelli

Ciao Gabriel! Grazie ancora per avermi concesso questa intervista in un momento così delicato per il nostro movimento. Sono passati due anni da quando tu scrivesti quella famosa lettera di addio alla Nazionale. Purtroppo, venivamo da pesanti sconfitte contro Egitto e Slovacchia ed era necessario ricominciare un nuovo corso. Eppure molti dei protagonisti di quel Mondiale e di quell'Europeo hanno continuato a vestire la maglia azzurra. Tranne te, sparito dal futsal nazionale. Cosa è successo da quel giorno?
Sono passati due anni da quando scrissi quella lettera, nei giorni successivi al pareggio con la Slovenia all’Europeo del 2018. Io mi sono infortunato contro la Serbia. A quel punto, tutti noi stavamo realizzando che il ciclo fosse finito, ma non sapevamo cosa sarebbe successo dopo. Ero abbastanza amareggiato quando scrissi quella lettera, perché non potei dare una mano alla seconda partita del girone, dato che subii un infortunio muscolare grave. Ciononostante, ho continuato a vestire la maglia azzurra, giocando fino a dicembre 2018. Ma con il cambio di allenatore, con l’arrivo di Alessio Musti, non ho più vestito la azzurra. C’è una storia dietro che già ho spiegato attraverso i canali social: quando uscì la notizia, io la lessi su internet. Non sono mai riuscito a parlare con il nuovo allenatore, non sapevo quali fossero i suoi programmi. Poi un giorno, lui mi chiama per volermi incontrare e siccome doveva seguire un allenamento dell’A&S, ci troviamo prima ad un bar sotto casa mia. Avevo una sensazione strana. Era da due anni ormai che Andrea Montemurro aveva preso la guida della Divisione C5. E lui non mi ha mai rivolto la parola. In tutto quello che è successo forse è la persona che mi ha trattato peggio: mi ha fatto sentire male, ignorato. Sinceramente non so il perché, dato che non lo conoscevo prima, ma capii subito che non gli stessi simpatico. Probabilmente perché rappresentavo il ciclo precedente, rappresentavo le persone con cui lui ha dovuto scontrarsi per arrivare alla presidenza della Divisione. Però io non ho mai giocato né per Tonelli, né per Montemurro: solo per la maglia zzurra. Così la vedevo io. Ma il terreno era diventato più scivoloso per me. Me ne accorsi anche dal trattamento ricevuto attraverso certa stampa. Una testata del futsal italiano, prima di quest’incontro, fa uscire una notizia con il titolo “Chi sarà il prossimo capitano dell’Italia?”. Io credevo fosse semplicemente un articolo di opinione di chi l’aveva redatto, di certo ciò che ha scritto non poteva essere tutta opera sua. Era sicuramente una voce insistente che l’autore di quell’articolo aveva sentito dai piani alti. In quella riunione Alessio Musti mi disse quanto fossi un elemento importante per la squadra, come uno degli oriundi da tenere nella rosa, ma aggiunse che da quel momento avrebbe voluto cambiare il capitano. Lì ho avuto la conferma che qualcosa fosse successo dietro le quinte.
Hai qualche rimpianto per come è finita la storia con la Nazionale?
Sicuramente ho sbagliato anche io. Fare il capitano non è facile, avere a che fare con tanti ragazzi, con tante teste diverse. Abbiamo perso delle partite cruciali nelle competizioni più importanti contro avversari abbordabili (il Kazakistan ad Euro2016, l’Egitto al Mondiale 2016 e la Slovenia ad Euro2018). Rimane assurdo però fare finta di non ricordarsi che con me, da capitano, abbiamo anche vinto un Europeo. Sicuramente avrò fatto sia cose giuste che sbagliate, però davo l’anima in campo. A volte ho giocato peggio di quello che potevo, perché ero preoccupato su come motivare il gruppo, assistere quei ragazzi che non si sentivano a proprio agio e tenere conto di mille variabili che una squadra ti mette davanti. Però questo lo so solo io e alcuni che con me hanno fatto parte della squadra. Ripeto, purtroppo sono cose che si sono dimenticate. Prima che Alessio mi dicesse qualsiasi cosa a quell’incontro, avevo un presentimento che le cose andassero storte. Per questo già parlai con la mia famiglia, ho 3 figli piccoli lontani da tutti, senza nessun supporto, solo con una tata che viveva da noi e che provava a sostituire la mia presenza. Era un momento in cui io dovevo stare a casa. Grazie a Dio, nessuna malattia e nessun problema di salute per i miei figli, avevano solo bisogno di me a casa e i primi due raduni di Alessio Musti duravano 10 giorni ognuno. Io sapevo che fosse una richiesta difficile però dovevo essere trasparente con lui, così come mi aspettavo che lui lo fosse con me. Avevo bisogno di un respiro principalmente per la mia famiglia. I miei figli e mia moglie avevano bisogno di me dato che non riuscivamo a portare nessuno dal Brasile per dare una mano ai bimbi, quindi mia moglie era sovraccaricata. Io sapevo che era giunto il momento di fare una pausa e dedicarmi alla famiglia. Quando chiesi di stare fuori per il primo raduno, lo stesso Alessio Musti mi disse: “Guarda sarebbe anche meglio perché io vorrei cambiare il capitano, quindi può essere buono per tutti e due; appena sei pronto a rientrare, programmiamo il ritorno. Capisco la tua situazione”. Per me era difficile questa scelta, non ero sicuro al 100%, però mi fidai di lui. Tra il raduno di febbraio e quello successivo di aprile, lo chiamo e gli faccio presente che vi avrei voluto prendere parte. Era l’ultimo della stagione, mi avrebbe fatto piacere conoscere i compagni di squadra ed il lavoro del Mister. La situazione familiare non era così diversa, però il raduno era molto più vicino a casa mia e quindi ero intenzionato ad esserci. Lui mi rispose: “Bene! Vedo che stai giocando alla grande, si vede che quel periodo di riposo ti ha dato una spinta in più”. Io mi sentivo strafelice in quei momenti perché ero sicuro di poter giocare davanti alla mia famiglia: mio padre già si era organizzato per venirmi a vedere dal Brasile, come sempre! Escono le convocazioni ed io non ci sono. Ci resto veramente male. Lì decisi che non avrei più fatto parte di questo gruppo.
E poi cosa è successo?
Poi non ci siamo più parlati. Lui non è stato sincero con me. Se mi avesse detto la verità, cioè che non sarebbe stato facile rientrare dopo l’assenza di febbraio, lo avrei apprezzato. Ha fatto una promessa che non ha mantenuto. Io ero veramente arrabbiato, lo chiamai immediatamente, gli dissi tutto ciò che volevo dirgli, ovviamente con educazione. Presi la decisione di ritirarmi. Da quel giorno non sono più riuscito a vedere una partita della mia Nazionale: quando fecero le amichevoli a Pescara non me la sentivo di andare là al campo, non c’era senso. Non ho più avuto contatti con Alessio. Ci siamo incrociati a qualche partita dei playoff, niente più. Nel frattempo parlai con tutti i miei compagni di squadra dicendo loro che me ne sarei tornato in Brasile perché avevo lasciato la Azzurra. Nessuno ci credeva. Questa voce poi giunse ad Alessio, il quale non mi ha mai chiamato, non si è mai preoccupato per me.
L’aria che si respirava stava diventando insopportabile per te da quando Roberto Menichelli si è allontanato dalla guida della selezione italiana. Hai notato delle esagerazioni nel giudizio sul suo operato?
Sicuramente gli ultimi risultati nell’era Menichelli non rispecchiavano la reputazione dell’Italia. Sicuramente c'era da cambiare qualcosa prima di certi avvenimenti, perché abbiamo fallito. Però considero grave che tutta la stampa, principalmente un sito di cui non dico il nome, abbia descritto quelle situazioni ed espresso opinioni a riguardo in modo veramente parziale. D’altronde mi è stato raccontato che ai piani alti ci sono alcuni movimenti strani. Poi s’è capito il perché. Non sono stati trattati in modo uguale i risultati che abbiamo ottenuto noi nell’ultimo periodo in confronto a quelli attuali. Prima era tutto improntato a cambiare radicalmente la direzione, allontanando delle persone in modo troppo palese. Mi vergognavo. E con le persone a cui dovevo dire in faccia quello che pensavo, l’ho detto. Loro sanno chi sono. Mi è veramente difficile parlare male dei canali che curano la comunicazione della maglia azzurra, perché mi hanno dato una grande spinta in carriera. Mi hanno sempre messo in risalto, forse facendomi sembrare più forte di quello che ero e per questo li ringrazio per il loro appoggio nei miei confronti in questi anni. Però da quando c’è stato il cambio di presidenza e da quando sono state fatte certe scelte, principalmente quella che mi riguardava (stare fuori dal raduno), ho visto cose che mi hanno fatto male. Le persone che chiedevano di me (e non solo) hanno scoperto che i commenti contrari al nuovo corso venivano cancellati. C’è stata una sorta di manipolazione mediatica difficile da accettare. La libertà d’opinione non esisteva più e hanno provato a silenziare tutti quelli che non la pensavano allo stesso modo.
Hai saputo reagire a quanto accaduto?
Una volta per tutte, decisi di mettere la mia famiglia davanti a qualsiasi altra cosa. Decisi non sarei mai più tornato in Italia a giocare, per nessun’altra squadra, tra cui la stessa Acquaesapone che mi propose il rinnovo. Ma non solo squadre italiane: anche all’estero club importanti mi fecero (e continuano a farmi) proposte difficili da rifiutare. Per me la scelta più importante è stata quella di riportare la mia famiglia dai nostri genitori in Brasile e stare vicini, perché il tempo passa e se non condividiamo la nostra vita con le persone care, poi ci pentiamo di tutto. Però l’amarezza per la Nazionale era grandissima. La situazione con l’AES rimase tranquilla. Una scelta dura, complicata ma decisa. Tutt’ora io guardo le partite e tifo Acquaesapone. Però con la Nazionale è rimasta questa situazione strana. Sapevo, lo sentivo nell’aria, che io non ero più il benvenuto. Ero triste, sono triste. Non credo di aver fatto mai una cosa sbagliata nei confronti di nessuno: né dirigenza, né staff, né compagni di squadra. Eppure non ho mai avuto né messaggi né chiamate da chi me l’aspettavo. Questo sì, mi fa tanto male.
In effetti, per uno come me che è cresciuto con te come capitano della Nazionale, non trovarti più con quella maglia mi ha fatto uno strano effetto. Ancor più strano e deludente ciò che i tifosi hanno provato conseguentemente all’eliminazione dell’Italia dalla partecipazione al prossimo Mondiale.
Riguardo l’eliminazione dell’Italia io non sono riuscito a vedere le partite. Nel senso che non riuscivo a stare davanti alla TV e guardare quella maglia che sentivo ancora mia. Era una sensazione davvero strana. Però certamente seguivo i risultati, io sono un tifoso della Nazionale. Infatti sono dispiaciuto, triste per l’eliminazione. Certe persone, per come mi hanno trattato, se lo meritano, perché ora spero riconoscano che il vero problema dell’Italia non sono gli oriundi. Però la sconfitta con il Portogallo rimane un nodo dentro al cuore per me. Io avrei voluto davvero dare una mano: non ti dico che sarebbe andata diversamente, non è un nome che cambia tutto, ma di certo avrei dato il cuore per la Nazionale. Ci sono rimasto male, non è questo il risultato che l’Italia merita: noi siamo abituati a posti sul podio, a vincere in Europa e a competere ai Mondiali. Anche negli ultimi anni, quando c’ero ancora io, abbiamo ottenuto dei risultati scadenti e la responsabilità era di tutti, dal Presidente al magazziniere: si vince in gruppo, si perde in gruppo. Io credo che in questi anni si sia fatta troppa politica, cosa che non dovrebbe mai accadere e invece succede. Troppo interesse personale e poco interesse nella crescita del movimento. Avremmo tutti potuto e dovuto fare qualcosa in più per non far trovare la Nazionale in questa posizione scandalosa.
Il ruolo di Musti e il programma di Montemurro non verranno messi in discussione, ma qualche considerazione su questi anni di gestione andrebbe fatta. Probabilmente i risultati negativi ottenuti sono frutto di una serie di scelte errate che si protraggono da tanto tempo, prima ancora dell’elezione dell’attuale presidente. Alcuni addetti ai lavori sottolineano l’eccessiva presenza di oriundi e l’assenza di un vero ricambio generazionale. Tu cosa ne pensi?
Separiamo le questioni: oriundi in azzurro e oriundi in campionato. Riguardo gli oriundi in Nazionale, io la vedo così: se l’Italia e gli italiani non sono in grado di accettare questa situazione, bisogna avere il coraggio di prendere decisioni drastiche e dire basta. Sennò si continuerà ad andare avanti con questa scusa qua. O si accetta la situazione, o si prenda il coraggio di fare certe scelte. Montemurro fece tante promesse in campagna elettorale. Io mi ricordo una sua intervista dopo la nostra sconfitta contro l’Egitto, ottobre 2016: disse che una Nazionale fatta solo da italiani non avrebbe mai fatto una figura del genere e che, se fosse stato Presidente, avrebbe consegnato la nazionale agli italiani. Invece è stata eliminata dal gruppo di qualificazione al Mondiale con 6 oriundi. L’incoerenza che a me non piace, di trattarmi come mi ha trattato, con episodi che lui solo sa cosa ha fatto, con alcuni comportamenti che i miei compagni di squadra mi hanno fatto notare e che io non capivo perché non avevo fatto niente. Questa sua ignoranza verso di me mi ha fatto molto male, sinceramente non so il perché di tutto questo ma so che quanto successo è conseguenza di questo suo non voler avere comunicazione con me. Riguardo agli oriundi in Serie A, ho letto un post scritto da Massimiliano Bellarte e per me ha ragione lui: la Serie A deve essere la massima esponente tecnica e tattica di un paese, non dovrebbe avere limitazioni di calciatori oriundi o stranieri perché così hai un campionato più forte, il prodotto diventa attraente in Italia e nel mondo, vendi di più. Invece se vuoi abbassare il livello tecnico per favorire la Nazionale, che senso ha? Il rischio, come è successo, è di ottenere l’effetto contrario. I giocatori potrebbero trovare un buon livello anche in Serie A2, come feci io con l’Asti, oppure in Serie B per fare gavetta. E poi se si prenderà la strada di fare una Nazionale veramente di tutti italiani, con una scelta coraggiosa, decisa, bisogna pensare alla crescita, non al risultato. Perché altrimenti si rimane nel mezzo e né si cresce, quindi non creando futuro, né si ottengono risultati, sfiduciando la nostra reputazione internazionale. Bisogna essere coraggiosi, anche a costo di perdere qualche voto politico, purché si anteponga il futsal ai propri interessi. Coerenza e sincerità sono fondamentali, altrimenti facciamo tutti la figura da bugiardi. Anche se a qualcuno pare non interessi passare per bugiardo, anzi pare che consideri strano chi dice di fare una cosa e poi mantiene la promessa.
Quindi, come volevasi dimostrare, il vero problema non sono gli oriundi, ma la mancanza di una nuova generazione di atleti su cui affidarsi per il futuro della nostra disciplina. Manca una base da cui ripartire?
Esatto, non c’è preoccupazione per la formazione giovanile, che attualmente è scarsa. Se tu vuoi avere dei giocatori da Serie A che sono in grado di giocare per la Nazionale, con il livello internazionale che richiede, tu devi lavorare da quando questi ragazzi hanno 6 anni. Non puoi pensare di prendere un ragazzo scartato dal calcio e trapiantarlo nel futsal. Il futsal è diverso dal calcio: è uno sport troppo tecnico, con i suoi movimenti caratteristici, quindi ci vuole un lavoro sodo da un’età tenera. Questo non esiste in Italia. E secondo me è doveroso prendere anche degli specialisti in questo lavoro. Ho visto della gente lavorare nei settori giovanili, come gli allenatori stranieri passati per l’Italia che hanno fatto dei miracoli, ma l’Italia stessa non ne ha approfittato. Mi riferisco anche a quegli allenatori italiani che non ha ottenuto il riconoscimento e l’aiuto che merita. Impensabile fare dei cambi in Nazionale A o in U19. Si deve partire dal basso. Ed è un lavoro che sicuramente raccoglierà i frutti. Il cambiamento non può partire dall’alto. Quello meno necessario si fa in alto, quello doveroso si fa in basso, nel settore giovanile e scolastico. Finché non si capisce questo, il cambio generazionale non arriverà mai!
A proposito delle nuove generazioni, parlaci del tuo progetto: il Nucleo GL3. Ricordo che hai avviato questa attività in Italia ed ora l’hai trasferita in Brasile. Recentemente hai anche stretto una collaborazione con Decatlhon. Dato che ti occupi dello sviluppo dei piccoli atleti con una struttura tua, ti chiedo: è possibile far crescere un movimento, e quindi una disciplina, partendo dal basso e in modo economicamente e organizzativamente autonomo da federazioni e società calcistiche?
Il Nucleo GL3 l’ho iniziato in Italia con l’idea di dare un supporto extra–campo a questi ragazzi che approdano al mondo professionistico. Notavo dei ragazzi tecnicamente validi ma che non erano ancora pronti per una vita da atleta professionista, non avevano voglia di fare sacrifici, quindi bisogna far capire loro che tutti noi professionisti abbiamo passato delle difficoltà, abbiamo studiato, ci siamo allontanati dalla famiglia, abbiamo avuto stipendi in ritardo, mille cose a cui pensare come alimentazione e sonno. I ragazzi di oggi non sono pronti: vogliono il risultato subito, adesso! Vogliono giocare, fare due partite con il club e andare subito in nazionale oppure fare due buoni allenamenti in Under19 e fare l’esordio in Serie A. Abbiamo fatto degli incontri a Torino e in Calabria con delle squadre che hanno creduto al progetto ed al lavoro nel settore giovanile. Dopo che ho preso la decisione di venire in Brasile, ho voluto portare il NucleoGL3 qua con me: oggi abbiamo 60 tra bimbi e bimbe su cui lavoriamo nella formazione giovanile nel futsal. E senza l’appoggio di nessuna società calcistica. Tutto creato da me e dal mio staff, tra cui c’è anche Davi Alves dell’Orange Futsal ed Edu Dias del L84, a cui si sono uniti due professionisti brasiliani, uno responsabile della parte fisica e l’altro della parte tecnica. Abbiamo dei progetti in parallelo, stiamo crescendo. Quindi sì, si può lavorare senza il sostegno delle società calcistiche. Ci sono tante realtà in tutto il mondo che lavorano senza l’appoggio di federazioni, sono proprio loro che fanno la differenza nel nostro movimento, perché antepongono la passione e la conoscenza agli interessi sportivi ed economici della società.
Riguardo le federazioni calcistiche: si parla tanto spesso di come il futsal a livello giovanile possa aiutare i giovani calciatori a diventare più bravi. Il Brasile è una delle nazioni con la più alta percentuale di atleti esportati al mondo sia nel futsal che nel calcio. A proposito del rapporto tra queste due discipline, come si vive in Brasile?
Qua qualsiasi bambino, dai 3 anni in su, inizia a giocare a calcio in un campo ridotto, principalmente dentro le palestre di circoli e club sportivi, perché hanno bisogno di toccare la palla, di divertirsi, di muoversi, di fare gol, di sentirsi partecipi a tutto il gioco. Secondo me il futsal è lo sport più completo e allenare i bambini a giocare a calcio in un campo ridotto permette di loro di controllare la palla nello stretto e prendere decisioni più rapide prima ancora di ricevere palla. Il futsal ti da un bagaglio di base tecnica e tattica, quindi di ragionamento, che si possono trasferire su un campo da calcio. Io pure ho iniziato a 3 anni. Poi con il tempo passi al calcio a 7 e al calcio a 11. Qui in realtà puoi fare entrambe le attività perché le federazioni sono diverse: giochi il sabato a futsal e la domenica a calcio. La formazione dei ragazzi è completa, nell’allenamento motorio non perdono nulla. Ciò che non imparano nel futsal lo apprendono nel calcio e viceversa. La preoccupazione e l’attenzione per la formazione dei bambini è incredibile: c’è una competitività nelle categorie inferiori che è anche esagerata ma che forma dei giocatori pronti per un mondo professionista. In Brasile si formano dei giocatori di futsal veri e propri, con i movimenti e la conoscenza tattica del futsal. Certo, qualcuno passa dal futsal al calcio, ma gli altri rimangono nel futsal perché sono formati per il futsal. E poi una cosa importante da dire è che lo sport è presente nelle scuole, sempre presente. In Italia no, sia per strutture che per insegnanti. Io ho fatto il liceo in Italia e nel mio non avevamo un campo per fare sport, capisci? Qui ogni scuola ha il suo campo polisportivo, perché è nelle scuole che il bimbo inizia a fare tutto il suo percorso di crescita. Senza strutture, difficilmente i bambini riescono a sviluppare determinate capacità motorie.
Del rapporto tra sport e scuola ne parleremo dopo. Intanto, vorrei approfondire questo binomio futsal–calcio. Secondo te la UEFA e la FIFA fanno bene a promuovere, da un lato, le competizioni utilizzando l’immagine dei calciatori più famosi e, dall’altro, la disciplina stessa come strumento di sviluppo per il calcio?
Secondo me il marketing che si fa con il futsal è sbagliato. Io sono contrario alla strategia della UEFA che promuove l’Europeo utilizzando Figo, Messi e Cristiano Ronaldo. Perché non utilizzare le nostre stelle? Falcao, Ricardinho, Vinicius, Kike. In questo modo inciti i ragazzi a riconoscere nel futsal uno sport che può diventare una professione. È la stessa cosa che dico ai miei ragazzi del NuceloGL3: il futsal può diventare una bella possibilità per fare sport, intraprendere una carriera professionistica e giocare con la Nazionale ma allo stesso tempo continuare a studiare, perché fortunatamente il futsal ti può dare questa opzione e deve continuare a farlo per il bene degli atleti, diversamente dal calcio, dove le ambizioni di ricchezza e fama sempre più grandi allontanano dalla scuola. Il futsal ti permette una formazione completa, sia dentro che fuori dal campo.
Formazione sportiva e istruzione scolastica sono quindi i pilastri su cui il futsal deve coltivare il futuro del movimento. Secondo te c’è un luogo ideale dove i giovani atleti possono assimilare entrambe le conoscenze?
Come detto in precedenza, la crescita di una disciplina e del movimento stesso dipende interamente dalla presenza e dalla manutenzione di strutture solide. Quando penso al settore giovanile, mi viene in mente la scuola. Per i bambini è necessario passare la maggior parte del tempo in strutture dove poter coniugare lo studio scolastico e la pratica sportiva. Qui in Brasile, con tutta la violenza e il traffico di droga che ci sono, i genitori lasciano i bimbi nelle scuole il più possibile, perché è una struttura sicura che si prende cura dei propri figli. Di conseguenza, nei programmi scolastici aumentano le ore sportive e gli istruttori sono sempre più preparati per far fronte a questa esigenza, perché è lì che i bambini compiono i primi passi, imparano le basi dell’attività motoria e, quindi, anche le basi di uno sport. In Italia il livello dello sport scolastico è imbarazzante e il divario con le società sportive è enorme.
Immagino che tu continui a seguire il futsal italiano così come quello internazionale. Il Brasile, per la 9° edizione consecutiva, prenderà parte ai Mondiali di futsal. E non è un caso. Da quando è stata istituita la massima competizione per nazionali di questa disciplina, la Seleçao ha sempre dimostrato di essere la squadra da battere, eccetto la clamorosa eliminazione del 2016. Uno dei problemi che ha l’Italia è quello di non essere in grado di creare giocatori di futsal competitivi fin dalle giovanili, mentre in Brasile ci sono campionati agonistici in qualsiasi categoria (correggimi se sbaglio). Qual è il segreto brasiliano? In che modo avviene lo sviluppo culturale, economico, sociale e agonistico dello sport nel paese?
Non esiste un segreto brasiliano. Tu guarda la Spagna: è sempre riuscita a portare ragazzi dal vivaio in prima squadra. Nazioni che prima non si qualificavano come Bielorussia e Finlandia, quelle che sono più vicine all’Italia in questo momento, sono partite da 0 ed ora stanno creando dei giocatori validi. Portano dei professionisti, specialmente nello staff, gente che è competente, perlopiù nelle giovanili. È semplice! Come ha fatto l’Iran a diventare una potenza nel futsal mentre nessuno li guardava? Ha portato dei professionisti, nel loro caso allenatori brasiliani, a seguire tutte le categorie giovanili, in modo da prepararli per la Nazionale A degli anni successivi. Gli stessi allenatori iraniani studiavano e si formavano continuamente. La Francia ora sta facendo lo stesso: Pierre Jacky va in giro per l’Europa ad imparare e studiare. Tutti questi discorsi sugli oriundi o sul fatto che un allenatore straniero non può lavorare come commissario tecnico devono essere superati, la globalizzazione del futsal è in corso.
Riguardo il Gabriel Lima giocatore, ricordo che alla scorsa edizione della Copa Intercontinental hai vestito la maglia del Chonburi Bluewave, squadra thailandese che arrivò seconda nel proprio campionato. Dopodiché, sei tornato nella tua città natale con la famiglia. Hai mai pensato (o stai pensando) di tornare a giocare o, magari, di cominciare ad allenare?
Da quando ho fatto l’ultima partita con il Chonburi Bluewave ho ricevuto molte proposte, molto interessanti, da paesi diversi, da gente che ammiro e da squadre che mi stanno nel cuore, ma non mi sono sentito di lasciare San Paolo e la mia famiglia. Fare l’allenatore per ora non mi interessa, però non dico mai di no per sempre perché in futuro non si sa. Mi piace lavorare con i bambini, trasmettere la mia esperienza, i miei valori e la mia formazione a loro. L’unica motivazione che mi avrebbe potuto far tornare in Italia sarebbe stata una chiamata dalla Nazionale per dare una mano. Ma tutto ciò che è successo l’ho lasciato alle spalle, anche l’orgoglio, perché ero certo che l’ambiente adatto per tornare non c’era più. Però, ripeto, era l’unica chiamata che avrei accettato, con il sostegno di mia moglie. Adesso tutta la mia programmazione di vita l’ho incentrata qui. Anche se, pensandoci, per ogni mese che passa, la mia carriera da atleta si allontana sempre più, pur avendo solo 32 anni e senza mai un infortunio grave. Infatti il mio miglior campionato, quello più consistente nelle prestazioni, è stato proprio l’ultimo disputato in Italia. Comunque i miei figli sono molto felici qua, stanno vicino ai parenti, a me e mia moglie. Ma molto presto potrebbero esserci delle novità riguardo il progetto qui in Brasile. Pur allontanandomi sempre più dal futsal giocato, io confido in Dio, perché so che la nostra strada è illuminata e protetta da Lui. Quando vedo la mia famiglia contenta, so di aver fatto la scelta giusta.
Per concludere, un pensiero all’Italia?
​Voglio ricordare il rispetto e l’amore che ho per l’Italia e che l’Italia ha avuto per me, perché mi ha accolto da ragazzo. E voglio ricordare tutti coloro che hanno fatto parte della mia carriera fin dai primi passi in Italia. Una situazione amara non potrà mai cancellare tutte le cose che ho vissuto, tutte le persone, tutti gli amici, tutte le famiglie con cui ho speso il mio tempo. Ricordo il campionato europeo del 2014, vinto da un gruppo che all’epoca era tanto unito, portando l’Italia veramente in alto. Per adesso rimango qui in Brasile, ma un giorno tornerò per ritrovare gli amici e spero che rimanga impresso ai tifosi italiani il mio attaccamento non solo alla nazione, ma soprattutto alla maglia azzurra, perché solo in pochi possono sapere come ci si sente ad indossarla ed il dovere che comporta per onorarla nel mondo.