Quelli che...la Rappresentativa: Nicola Giannattasio


20/04/2018 - Scopriamo con AGA i componenti dello staff per la stagione 2017/18

Intervista a cura di: Antonio Gaggioli
Lo so, corro il rischio di ricevere delle critiche perché mi metto ad intervistare il Direttore di PAC che poi pubblicherà se stesso. Che fanno, si intervistano tra loro? Onestamente è un rischio che corro assolutamente volentieri perché aldilà del fatto che Nicola fa parte dello Staff Rappresentativa, non me la sento di negarmi e, soprattutto, di negarvi, il piacere di ascoltare, di leggere le parole di un personaggio assolutamente eccezionale nel panorama del futsal toscano, e non solo. Diciamoci la verità, senza Nik il nostro amato calcio a 5 non sarebbe lo stesso.
Nicola Giannattasio, ma faccio bene ad intervistarti? 
Ma sì, dai. Considera che questa è la mia prima intervista  su Pallaalcentro. Quindi non corriamo il rischio di essere considerati autocelebrativi.
Una carriera da giocatore di assoluto rispetto, precoce e longeva, costellata anche da presenze in serie A. 
Nella carriera di un giocatore contano quattro fattori fondamentali: la fortuna, di trovarsi al posto giusto al momento giusto, la determinazione, necessaria per fare in modo che quella fortuna non scivoli via, il sacrificio, di rinunciare a qualcosa in funzione dello sport, e la costanza, che ti permette di stare ad un certo livello per tanti anni. La mia carriera è passata necessariamente da queste quattro componenti. Ho avuto la fortuna di iniziare a giocare nel Prato quando la società si stava imponendo come la numero uno in Italia. Però quando arrivi giovanissimo in un top club devi avere, oltre alle qualità, la voglia di restarci e cercare di ritagliarti il tuo spazio. E qua entra in gioco la determinazione. Ho esordito in Serie A a 19 anni sostituendo un mostro come David Calabria. Ho giocato da titolare i playoff del primo scudetto sostituendo un altro mostro come Claudio Fiori. Per arrivare a questo non puoi mollare un centimetro. Nel 2002 mi allenavo 7 volte alla settimana, il sabato ero con la prima squadra e la domenica con l’Under 21. Il calcio a 5 era la mia ossessione, ho fatto tanti sacrifici, rinunciando a tante cose che per un ragazzo di 20 anni sarebbero normali. Andato via da Prato è iniziato il difficile. Perché quando cominci a portarti dietro un nome devi sempre tenere alta la costanza negli allenamenti.
Un inizio targato Prato ed una conclusione con i colori giallorossi di Poggibonsi appiccicati alla pelle, le tue due città.
Nel Prato sono arrivato a 16 anni e sono andato via a 23, per poi tornare per un’altra breve parentesi. In quei sei anni, tornando al discorso fortuna, ho giocato con autentici fenomeni. Da loro ho imparato tantissimo. Rubavo con gli occhi ogni particolare. Ma gli insegnamenti più importanti sono arrivati da quei giocatori che trattavano i ragazzini, giustamente, come l’ultima ruota del carro. Se non hai carattere, molli. Se non accetti la sfida, finisci in un angolo. Se rispondi con un sorriso ad una pallonata in faccia da un metro ti guadagni il rispetto. A Prato ho imparato soprattutto questo. Ero un bimbo e sono diventato uomo. A Poggibonsi sono arrivato quasi per caso dopo le esperienze di San Michele, Grosseto e Kaos. Pensavo fosse una scelta provvisoria. Sono lì da 10 anni. Ormai è una seconda casa.
Smessi i guanti (definitivo?) hai vestito i panni di mister, che onestamente ti sono sempre calzati a pennello, e lo stai dimostrando.
Anche quest’anno ho giocato qualche minuto e quando ne ho la possibilità mi alleno con la squadra. Però per come intendo io il ruolo di allenatore, ovvero concentrato a 360° su quello che accade durante gli allenamenti, facendo attenzione ad ogni dettaglio, il doppio ruolo è incompatibile. Faccio un applauso a chi, come Quattrini, ci è riuscito ottenendo anche ottimi risultati. Ma per me sarebbe impossibile. Da giocatore ho sempre pensato che ci si possa migliorare sempre, anche a 35 anni, ma sono sempre stato molto convinto delle mie qualità. Quindi era un lavorare su delle certezze. Come allenatore mi rendo conto di avere tantissima strada da fare. Per fortuna (quante volte ricorre questa parola), ho avuto maestri da cui ho imparato tantissimo: Carobbi, Borgioli, Bellandi, Quattrini, Andrejic, Chiappini, Busato…e soprattutto Jesus Velasco. Il mio zainetto dell’esperienza è pieno dei loro insegnamenti, o anche di cose che magari non mi piacevano e che da allenatore cerco di fare diversamente. Ma mi piace anche confrontarmi con i colleghi, di qualsiasi categoria, c’è sempre da imparare.  
Il tuo lavoro però è il giornalismo, tanto che Palla al Centro è merito tuo.
Da piccolo volevo fare due cose: il calciatore e il giornalista. In realtà sognavo di essere un bomber alla Gianluca Vialli…provando rovesciate su rovesciate in giardino. Invece mi sono ritrovato portiere. Essere riuscito a concretizzare entrambi i miei sogni mi fa stare innanzitutto bene con me stesso. Però per Pallaalcentro non bisogna dimenticare che è un'eredità (pesante) che ho ricevuto dal fondatore del sito, Pietro Curci. 
PAC è un regalo che fai ogni giorno a tutti noi, per me ad esempio è come il caffè la mattina. Quando questa estate hai palesato qualche condivisibile dubbio ho pensato allo sciopero della fame…
Non so come sarebbe stato questo calcio a 5 toscano senza Pallaalcentro. So che quando Pietro Curci decise di mollare, sentivo l’esigenza di continuare il suo lavoro. Quello che voglio dire è che le cose si possono fare bene o male, si possono commettere degli errori anche nella direzione di un sito apparentemente semplice come Pallaalcentro. Accetto le critiche e il confronto, credo che il mio numero di telefono lo abbiano tutti, ma non accetto la gente che parla di malafede o di antipatia nei confronti di questa o quella società. O che invece di mandare un messaggio preferisce sfogarsi sui social.
Poi l’incontro, per certi versi inevitabile, con la Rappresentativa. Aldilà dei compiti e dei ruoli ricoperti, sempre alla grande, sei diventato ormai un vero punto di riferimento, oserei dire imprescindibile, per staff e ragazzi vecchi e nuovi.
Di imprescindibile per la Rappresentativa c’è soltanto Luca Marinari. L’approdo in Rappresentativa è stato casuale e allo stesso tempo meraviglioso. Nel 2015, poche settimane prima della partenza per la Lombardia, mi venne chiesto da Antonio Scocca se ero disponibile nel dare una mano a Giacomo Aliboni. Accettai di corsa e quello che è successo nei successivi tre Tornei delle Regioni è stato fantastico. Adoro il clima che si respira in queste manifestazioni, amo il rapporto che si è creato in questi anni con tutti i ragazzi e le ragazze. I portieri che ho allenato in questi tre anni avranno sempre un posto speciale nel mio cuore. 
Nel tuo diario di bordo avrai senz’altro annotato momenti belli ed altri meno. Vuoi condividerli con noi?
La cosa bella della Rappresentativa è come ti entra dentro nonostante non ci siano stati trofei portati a casa. I momenti belli sono tantissimi. In Lombardia l’abbraccio con Aliboni dopo la qualificazione ai quarti e la gioia per il passaggio del turno delle ragazze. Senza dimenticare i momenti passati fuori dal campo. In Valle d’Aosta il clima prima della sfida decisiva con il Piemonte e il gruppo fantastico creato. In Puglia la vittoria contro il Piemonte con un cuore grande così, il gol di Giorgio Tintori contro la Puglia e la qualificazione per la finalissima delle ragazze. Momenti brutti… tutte le sconfitte ovviamente. Ma ce ne sono due che ancora fanno male. I quarti di finale persi 3–2 contro il Veneto di Tenderini, con due liberi sbagliati, e la finale persa dalle ragazze l’anno scorso.
La stretta attualità parla di un viaggio in Umbria per un Torneo delle Regioni che affronteremo con quali prospettive?
Le prospettive sono sempre quelle di una regione che per trovare il suo spazio dovrà sgomitare parecchio. Quest’anno non seguo in prima persona le altre Rappresentative e quindi mi limito a parlare della Juniores. Abbiamo una squadra di qualità, paragonabile forse a quella della Lombardia. Per passare il turno, però, servirà andare oltre queste qualità e mettere in campo il solito grande cuore. Abbiamo la fortuna di avere un grande condottiero come Simone Banchini, un motivatore come ne ho visti pochissimi nella mia carriera. Il resto toccherà ai ragazzi. Sono loro i primi a doverci credere. E dunque serviranno dodici giocatori che, come accaduto in passato, siano in grado di capire lo spirito della Rappresentativa.
Comunque vada, il movimento del futsal toscano sembra in crescita soprattutto alla base.
Stiamo crescendo e stiamo cercando di rimetterci al passo delle altre regioni. La strada è ancora lunga e tortuosa. Stiamo migliorando come numeri e di questo bisogna rendere merito ad Antonio Scocca e Valentina Rosini, che stanno facendo un grande lavoro. Ma siamo ancora distanti come qualità. Dobbiamo lavorare sulla formazione dei nostri tecnici, sul confronto e sul rispetto.
Per concludere, non ti faccio una domanda ma ti esprimo un mio pensiero che credo proprio non sia solamente il mio: grazie di esistere Nik.
No, Antonio. Grazie di esistere al calcio a 5. Uno sport meraviglioso che ha dato tanto a tutti noi. Regala emozioni, ti fa conoscere persone nuove, creare amicizie importanti. Siamo una piccola comunità, ma con una passione viscerale. E’ questa la benzina che ci fa andare avanti, la passione. Non dimentichiamolo mai.